| Emanuela De Cecco - Anche perchè è un
        percorso che viene mostrato ma è già costruito ed acquisito.
 Proporre una visione vuol dire offrire un passaggio più complesso che
        necessariamente non è una panoramica, né un reportage, né una
        incoronazione, né una celebrazione, ed in questo c'è già una
        nostalgia per una dimensione progettuale, questione che non chiudiamo ma lasciamo
        libera…
 Noi partiamo comunque da una riflessione - di creare cioè una continuità locale
        - nel senso del paese dove ci troviamo a vivere e lavorare - ma in realtà si
        tratta di grandi questioni che non riguardano solo noi ma sono grandi questioni
        che hanno delle corrispondenze da tante altre parti, e punti di riferimenti e
        motori del nostro agire di quello che si intende per pratica e figura del curatore
        oggi.
 
 Tornando a casa nostra ho raccolto alcune impressioni a proposito di
        un altro spazio di arte contemporanea. Il Museo in questione è il
        Donna Regina di Napoli che ha aperto recentemente e su cui vorrei proporvi
        alcuni pensieri e riflessioni in relazione non tanto come il museo è costruito
        e realizzato ed allestito, ma a proposito di quelle che sono state le
        scelte relative ad una campagna di comunicazione che ha accompagnato
        la nascita del museo.
 
 Credo che a proposito del quale ci siano dei dati non nuovi in assoluto,
        ma nuovi rispetto alla situazione italiana.
 Il fatto di affidare la promozione ad una agenzia pubblicitaria che ha deciso
        l'acronimo -Madre- tentando di ‘parlare di storia dell’arte contemporanea
        con toni non istituzionali e ossequiosi ma in maniera originale ed irriverente’ avrebbe
        potuto creare uno sbilanciamento in termini di comunicazione e riproporre questa
        sorta di pregiudizio che l'arte contemporanea si trova in oscillazione tra due
        aspetti: o diventa un fatto assolutamente elitario e quindi ritenuto incomprensibile,
        oppure la traduzione è rilanciata in termini assolutamente popolari, per
        cui si passa per paradosso da un estremo all'altro. Il discorso è o popolarizzato
        e ridotto ai minimi termini - oppure viene tenuto assolutamente irraggiungibile
        e incomprensibile.
 Ma questo accade anche in un contesto in cui si fa fatica ad esercitare un rapporto
        di tipo più orizzontale e più dialettico tra chi mette in mostra
        e chi va a vedere la mostra. Una sorta di ipotetica terza via che tra l'altro
        non cade nel populismo a tutti i costi e non si rifugia in una visione chiusa
        oltre il referenziale, ed interessata a rifugiarsi in un contesto privilegiato
        ed elitario.
 
 Lorenzo Fusi - Si possono fare certo delle osservazioni sugli acronimi
        che sulla scia del -Moma- stanno dilagando. Sono semplificazioni eccessive.
        (è questo di per sé è già una scelta populista)
 I costi rilevanti delle campagne pubblicitarie non mi scandalizzano se
        i modelli a cui ci si ispira sono La Tate o il Moma. Per ottenere risultati
        economici apprezzabili in queste operazioni non si può non investire
        se non con pubblicità e comunicazione.
 
 Alberto Salvadori - Più che un museo attualmente è un contenitore,
        non avendo una collezione, ma 'prestiti amichevoli' provenienti da collezionisti
        di tutta Italia - una sorta di grande vetrina, in breve.
 L'edificio bellissimo di recente restauro è ancora un cantiere
        e la cosa incredibile che le opere sono qui - così esposte! Il
        quesito che io pongo -  è dunque più importante la comunicazione
        o l'immagine?…creare quello che non esiste o di fatto lavorare
        su delle istituzioni?
 Ché poi per garantirsi una immagine del genere è necessario
        un budget strepitoso..
 
 Lorenzo Fusi - Se il budget di investimento nella comunicazione è proporzionato
        a quello che è il risultato attivo nella costruzione di una collezione,
        o per un centro di ricerca e di documentazione, non mi sorprende né mi
        scandalizza.
 
 Pubblico - Di recente ho visitato il -Madre- rimanendo sbalordita dalla
        quantità di pubblico locale in visita allo spazio (pur senza segnaletica
        ambientale). Certo era ancora un semi cantiere, ma ricordo che c'era
        la coda alla cassa e questo per un centro di Arte Contemporanea è un
        fatto assai curioso.
 All'interno nelle sale la scelta di non mettere targhette e cartelli
        descrittivi delle opere permanenti crea una sorta di corto circuito,
        il pubblico rimane sbigottito, però interagisce in qualche modo
        con le Signorine che sono lì appositamente per raccontare delle
        opere. Certo è tutto abbastanza opinabile a incominciare dalla
        scelta delle opere permanenti, io ho delle perplessità al riguardo.
 
 Emanuela De Cecco - Vorrei tornare a ribadire
        questo punto - Attenzione perchè ci troviamo in un momento in
        cui i numeri sono altissimi, e non si è mai parlato così tanto
        di arte come si fa oggi su riviste e televisione.
 Poi è significativo di non mettere i cartellini alle opere, perchè questo
        vuol dire favorire un approccio che dispone il pubblico ad una sorta
        di esperienza che ha a che fare con una ritrovata aura, dall'altra siamo
        nella società della interazione per cui il fatto di fare una esperienza
        anche intensa dal punto di vista della percezione, questo sì è
        un aspetto importante che orienta un certo modo di guardare, che non
        necessariamente è quello che propone una riflessione o un percorso
        di tipo storico.
 Tra l'altro questo museo presenta dei passaggi della storia recente,
        c'è una rilettura attraverso le maglie degli ultimi decenni.
 Tracciare le dinamiche credo che sia il nostro compito, come dire - attivare
        un ragionamento rispetto a certe mutazioni, ed osservarle mentre sono
        in fieri perchè questo da delle indicazioni rispetto alle politiche
        culturali.
 
 Pubblico - Di questo c'è un aspetto nodale ma forse ineludibile
        sia nella pratica curatorioale di oggi, sia del pubblico per riuscire
        ad aprirsi più canali.
 
 Pubblico - Questo succede negli ambiti di tutte le società.
 - Che fare - diceva Lenin per evitare che tutto si deteriori così rapidamente
        e non ci sia spazio per la riflessione?
 Da dove ripartire per educare o far riflettere... da uno sguardo consapevole?
 
 Lorenzo Fusi - Come cambiare? Innanzitutto si dovrebbe cambiare il principio
        in base al quale le istituzioni devono fare profitto, ed è una
        visione che va soprattutto applicata all'Arte Contemporanea.
 Non faremo mai profitto, non faremo mai danaro.
 
 Pubblico - Questo è un motivo perchè i musei pubblici si
        chiamano 'oggetti in costo'
 
 Lorenzo Fusi - Teoricamente il prodotto e la resa - è la capacità di
        attecchire nel territorio e di diffondere sempre di più la contemporaneità sotto
        varie forme di declinazione. E' chiaro che comunque da parte di una amministrazione
        la richiesta di un feedback numerico viene dato -e se non altro un indice
        di gradimento deve essere espresso. Questa è già una necessità che
        le istituzioni sentono, per cui quello che forse si può paventare è cercare
        di creare una alternanza tra eventi che siano più godibili, più popolari,
        sostanzialmente alternati ad eventi con sperimentazioni più 'hard
        core' nel vero senso della parola, per riuscire a portare dentro il pubblico
        e creare una altra regolarità di fruizione.
 Credo questa, una possibile maniera di operare.
 
 
 
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